In alcuni ambiti, come la VIA e la VAS, ha avuto diffusione anche l’analisi multi-criteri, una tecnica a nostro parere utile in fase di screening dei fattori d’impatto, ma che nella fase finale della valutazione, quella di sintesi, non risolve il problema dell’arbitrarietà nella “pesatura” dei diversi aspetti ambientali. Nella valutazione delle esternalità ambientali, ampiamente utilizzata a livello comunitario e in alcuni Stati Membri, come la Germania e il Regno Unito, l’oggetto d’indagine è la disponibilità a pagare degli individui di una collettività per evitare determinati rischi sanitari o ambientali, e il metro di misura è monetario. Il grande vantaggio è di consentire una piena integrazione delle valutazioni economico-finanziarie e degli effetti sociali e ambientali di un progetto secondo un unico metro di misura.
Il metodo di valutazione delle esternalità è democratico (sarebbe sufficiente misurare in maniera sistematica questa disponibilità a pagare). Quel che manca, nella valutazione ambientale, non è un metodo di valutazione adeguato -le decine di corsi di laurea in economia ambientale in tutto il mondo e le centinaia di studi sulle esternalità e benefici ambientali, lo dimostrano.
Quel che manca è una cultura politica disposta a cedere spazi a valutazioni quantitative autenticamente popolari e partecipate sui temi del benessere pubblico, in particolare in Italia. Sarebbe bello vedere presto un telegiornale che si apre con la notizia che il governo ha aggiornato il VYOLL (ndr il valore di riferimento nazionale di un anno di vita statistica perduto, da utilizzare nella valutazione dei costi sociali dell’incidentalità stradale e degli effetti di mortalità dell’inquinamento atmosferico), oppure che il Ministro dell’economia, d’intesa con quello delle Infrastrutture e Trasporti, ha fissato il valore di riferimento del tempo perso da individui e merci (da utilizzare nella valutazione dei costi esterni dovuti a fenomeni come la congestione stradale, i ritardi dovuti all’inefficienza del trasporto pubblico locale, gli scioperi “stupidi” - quelli che per affermare un diritto danneggiano i diritti altrui). Sarebbe bello veder germogliare fra i nostri concittadini, seppur sviliti da decenni di malgoverno, il bisogno di una politica nuova, strutturalmente indirizzata al benessere collettivo, dove quest’ultimo sia misurato con indicatori per verificare l’efficacia delle politiche, esattamente come si fa per i prezzi e per i tassi d’interesse, indicatori di benessere -misurati con metro monetario- che potrebbero essere più vicini dell’inflazione o dello spread nel monitorare gli interessi reali delle persone, come la preoccupazione di incorrere in un incidente in una città a rischio, o la paura di veder cronicizzare una bronchite persistente.
Se a qualcuno questi esempi sembrano fantascienza, sappia che dovrebbero essere la realtà di oggi. Nella fase più acuta dell’emergenza finanziaria, il dgls 228/2001 prima, e il DMPC 3 agosto 2012 poi, hanno infatti introdotto l’obbligo per le amministrazioni centrali di adottare l’analisi costi benefici per la valutazione ex ante degli investimenti pubblici di propria competenza, richiamando i manuali comunitari e internazionali esistenti fra le metodiche da utilizzare nella valutazione di utilità pubblica, come gli aspetti ambientali. La normativa necessaria per iniziare a realizzare politiche orientate al benessere collettivo, inteso come obiettivo misurabile, è stata già partorita. E’ in vigore da un anno, ma è completamente inattuata. Dove si è nascosto chi l’ha generata? Dov’è la politica? Dove i telegiornali?
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